Influenze culturali e peculiarità dei linguaggi figurativi tra Tarda Antichità e Alto Medioevo
Una recensione per “Arte altomedievale” di Ernst Kitzinger
Il mio primo “incontro” con il grande studioso
tedesco Ernst Kitzinger è avvenuto quando per motivi di studio ho letto
l’importante volume Il culto delle icone.
L’arte bizantina dal cristianesimo delle origini all’Iconoclastia[1]
e successivamente l’ancora oggi fondamentale
Alle origini dell’arte bizantina[2].
Già da allora avevo apprezzato lo stile di Kitzinger, così lineare, comprensibile
e sintetico pur mantenendo quella scientificità e serietà indispensabili quando
si tratta una disciplina così complessa come la storia dell’arte.
Il medesimo stile
emerge anche da Arte altomedievale,
traduzione italiana del volume Early
Medieval Art in the British Museum pubblicato per la prima volta nel 1940.
Come suggerisce il titolo originale questo volume nelle intenzioni non vuole essere un manuale di storia
dell’arte dell’Altomedioevo bensì una breve ma al contempo corposa introduzione
ai linguaggi artistici di quel periodo storico attraverso le opere custodite
nel celebre museo londinese.
Chi studia l’arte medievale sa benissimo che quei
linguaggi e stili non nacquero all’improvviso ma furono il risultato di
evoluzioni e cambiamenti avvenuti nella Tarda Antichità. Lo studioso tiene
infatti a sottolineare che tale periodo, liberatosi dal pregiudizio di epoca
decadente, si è rivelato in realtà di estrema importanza in quanto costituisce
«il punto di partenza per quel processo di trasformazione attraverso il quale
lo stile classico dei Greci e dei Romani mutò nello stile astratto e
trascendente del Medioevo»[3].
Il primo capitolo è dedicato all’analisi dei
complessi processi evolutivi dell’arte tardoantica e paleocristiana evidenziando soprattutto i rapporti tra
Cristianesimo e Paganesimo che si rivelano qualcosa di più che un conflitto
come spesso si tende a credere [4]. I prestiti dell’arte classica si trovano anche in
quelle raffigurazioni di temi cristiani per i quali non esistevano precedenti
nell’arte pagana come la Resurrezione di Lazzaro o l’entrata di Cristo a
Gerusalemme. L’arte cristiana fin dalle origini aveva fatto uso dell’arte
figurativa esclusivamente in maniera simbolica mentre ad un certo punto
iniziarono ad essere realizzati dei veri cicli narrativi con le storie dell’Antico
e del Nuovo Testamento. Si noti ad esempio una delle prime rappresentazioni della Crocefissione di Cristo su una placca in avorio del V secolo: la scena è arricchita da dettagli come la borsa con i denari ai piedi di Giuda impiccato mentre i corpi, seppur tozzi, sono vigorosi e le membra sottolineate dai panneggi ben definiti.
La Crocefissione, dalle scene della Passione intagliate su quattro placche in avorio, inizio V secolo.
Di estrema importanza è altresì la penetrazione a Roma nel III e IV secolo d.C. dell’arte delle province che Kitzinger definisce sub-antica e che, nonostante le differenze tra i luoghi, ha come tratti peculiari un’astrazione ed una stilizzazione sconosciuti all’arte classica che invece tendeva al naturalismo. Dalle province questo stile penetra e s’impone a Roma diventando poi l’arte ufficiale tant’è che è possibile cogliere il carattere trascendentale e volutamente anti-naturalistico in alcune placche d’avorio raffiguranti apoteosi di imperatori o di consoli.
Nell’analisi di queste evoluzioni stilistiche Kitzinger non può non fare riferimento anche a Costantinopoli dove gli artisti cercano invece di conferire alle loro opere un’eleganza ed una maestosità classiche non riuscendo tuttavia ad attenersi fedelmente ai principi naturalistici.
Placca in avorio con l'apoteosi di un imperatore, tardo IV secolo.
Il secondo
capitolo è dedicato alla produzione artistica nel periodo dell’impero
carolingio.
Kitzinger inizia con una chiara descrizione dei tratti peculiari
dell’arte nordica pre-carolingia, completamente differente da quella
mediterranea, costituita soprattutto da oggetti come fibule ed else di spade
riccamente ornati da motivi dalle forme più diverse e complicate.
La diffusione in
quelle terre del Cristianesimo permise i contatti con i paesi del Mediterraneo con importanti
conseguenze nell’ambito della produzione artistica. Grazie ai monaci missionari, infatti, ebbe modo di diffondersi l’arte della miniatura che tuttavia si
distinse da quella mediterranea proprio per quel risalto, tipicamente nordico,
conferito agli ornati: ne è uno straordinario esempio l’Evangelario realizzato
a Lindisfarne dove sulla pagina è stesa come un tappeto una ricca e complicata
decorazione fatta di intrecci, motivi geometrici ed animali fantastici.
Dall'Evangelario di Lindisfarne, Northumbria, tardo VII secolo.
È
noto che il punto di riferimento per la politica imperiale di Carlo Magno era
Roma, non a caso si parla spesso di un revival
della cultura classica. Kitzinger ci fa comprendere però che tale revival non deve essere inteso come una
semplice imitazione di modelli classici da parte degli artisti del Nord: essi
infatti appresero il naturalismo ed il realismo mediterranei creando immagini
fortemente espressive.
L’interpretazione
dei modelli mediterranei da parte degli artisti del Nord portò a risultati
differenti tant’è che sorsero diversi
luoghi di produzione, conosciute come scuole, ognuna con uno stile ben definito
e che lo studioso tedesco esamina scrupolosamente evidenziandone le principali
caratteristiche: si pensi ai miniatori di Reims e il gruppo di Liutardo
fortemente influenzati da modelli mediterranei orientali, primo fra tutti
Bisanzio, e la scuola di Ada che guarda anche ai modelli occidentali come le
coeve pitture murali italiane.
Gli
artisti nordici tuttavia non si limitarono all’imitazione di modelli classici e
mediterranei, col tempo infatti impararono ad interpretare tali modelli secondo
il proprio stile che si può definire tipicamente medievale proprio per quella
ricchezza del linguaggio e per l’interesse
mostrato più per l’astrattezza che per l’armonia e l’ordine classici. Un
esempio cogente è dato dal magnifico Cristallo di Lotario dove, attraverso una
serie di figurine animate, è narrata la Storia di Susanna e i Vecchioni.
Cristallo di Lotario con la Storia di Susanna e i Vecchioni, arte carolingia, 843-869.
Nel
terzo capitolo Kitzinger esamina la situazione artistica dei secoli X e XI partendo da Bisanzio che nel
X secolo raggiunge un periodo di rinascita culturale grazie agli imperatori
macedoni. Ancora una volta Bisanzio non tradisce il suo ruolo di custode della
tradizione antica, lo dimostrano infatti alcune placche eburnee il cui stile è
testimone di una cultura che non aveva mai smesso di studiare i modelli
classici. Al contempo l’arte di Bisanzio si arricchisce di nuove suggestioni
acquisendo quella ieraticità che sarà poi un tratto distintivo e che si coglie soprattutto
nelle icone oltre che nelle opere in avorio. Anche l’arte manoscritta risente
di questi sviluppi e lo si nota dagli elementi architettonici che perdono la
loro consistenza perdendosi nel vuoto dei fondi oro.
Per l’Occidente invece la situazione si
mostra più complessa poiché in seguito
al crollo dell’impero carolingio sorsero le singole nazioni dove si elaborarono
stili diversi a seconda dei gruppi e delle scuole. Anche in questo caso
Kitzinger si rivela abile nel delineare una “mappa geografica” degli stili
sottolineando come Germania ed Inghilterra svilupparono e trasformarono il
retaggio culturale carolingio codificando un linguaggio ben preciso mentre la
Francia continuò a riprendere modelli carolingi subendo influenze inglesi,
ottoniane ma anche spagnole.
Di particolare interesse in questo capitolo
è, a mio parere, la parte dedicata all’Italia e la Spagna la cui produzione
artistica presenta un linguaggio sostanzialmente differente rispetto a quello
dei paesi del nord Europa. Gli esempi più cogenti provengono ancora una volta
dalla miniatura: per quanto riguarda l’Italia, un’illustrazione con Adamo ed
Eva di un Exultet realizzato a Montecassino nella seconda metà dell’XI secolo
mostra chiaramente come l’artista avesse guardato a modelli classici e
paleocristiani, modelli che poi si erano tramandati anche nella pittura. Si
noti come l’artista abbia realizzato le due
figure con una morbidezza ed una
agilità sorprendenti che Kitzinger giustamente spiega anche attraverso un
rapporto culturale con Bisanzio.
Gli stessi modelli influenzarono anche la
Spagna ma non furono i soli. Con la conquista degli Arabi nell’VIII secolo la
cultura spagnola assorbì elementi provenienti da una cultura che si potrebbe
definire opposta a quella classica: le figure divengono puro ornamento e non
sono disposte in uno spazio realisticamente reso ma in una profusione di decori
ed iscrizioni.
Miniatura con i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse, dal Beato di Silos eseguito in Spagna per l'abbazia di Santo Domingo di SIlos tra il 1091 e il 1109.
In questi due secoli in Occidente ci fu un
fattore importante per lo sviluppo dell’arte nei secoli successivi e cioè la
crescente influenza che la Chiesa stava progressivamente conquistando. L’arte
ebbe in questo un ruolo considerevole poiché fu per la Chiesa uno strumento per
avvicinare il fedele: da qui la monumentalità dell’arte romanica, argomento a
cui è dedicato il quarto ed ultimo capitolo. Essendo questo volume anche una
guida alle opere del British Museum, in questo capitolo non si parla di arte
romanica attraverso le chiese: Kitzinger tuttavia riesce magistralmente a far
comprendere al lettore il carattere maestoso dell’arte romanica prendendo in
esame manufatti artistici di piccole dimensioni come gli straordinari scacchi
eburnei dell’isola di Lewis, così piccoli ma dalle espressioni
sorprendentemente vive oppure il coperchio di turibolo in bronzo dorato che
nelle intenzioni dell’artista doveva riprodurre la Gerusalemme Celeste.
Scacchi dell'isola di Lewis, avorio di tricheco, Inghilterra o Scandinavia, XII secolo.
L’arte romanica dunque ebbe la capacità di riunire
le tendenze stilistiche che nei secoli precedenti avevano dato vita a linguaggi
diversi: «le figure romaniche sono meno eteree: il trascendentale era stato
fatto diventare concreto.» [5]
Arte altomedievale di Ernst Kitzinger si presenta come un'utile introduzione agli sviluppi artistici di questo particolare ed interessante periodo storico. Sebbene sia un volume piuttosto breve gli argomenti non sono trattati in maniera superficiale: le dinamiche, gli sviluppi e gli intrecci culturali sono ben esposti e riescono a configurare un panorama storico-artistico dell'Occidente Europeo e di Bisanzio di chiara lettura.
[1] Firenze 1992
[2] Milano 2004. Traduzione italiana
(a cura di Maria Andaloro e Paolo Cesaretti) di Byzantine Art in the Making. Main lines of stylistic development in Mediterranean
Art 3rd-7th Century, London 1977.
[3] E.
KITZINGER, Arte altomedievale,
a cura di Fabrizio Crivello, Einaudi, Torino 2005, cit., p. 4.
[4] Sull'argomento si veda anche il fondamentale testo di A. GRABAR, Le vie dell'iconografia cristiana. Antichità e Medioevo, a cura di Mauro della Valle, Jaca Book, Milano 2011.
[5]E. KITZINGER, Arte altomedievale , cit. p. 126.
[4] Sull'argomento si veda anche il fondamentale testo di A. GRABAR, Le vie dell'iconografia cristiana. Antichità e Medioevo, a cura di Mauro della Valle, Jaca Book, Milano 2011.
[5]E. KITZINGER, Arte altomedievale , cit. p. 126.