Dalla
ritrattistica tardo-antica alle prime icone del monastero di Santa Caterina del Sinai
Nel
mondo greco-romano era tradizione affiggere non solo immagini di divinità ma
anche immagini commemorative di personalità che nella loro vita erano state
importanti e rispettate. Negli ultimi secoli del mondo antico ebbero una
particolare fortuna i ritratti familiari che potevano essere di persone vive e
destinati a persone vive oppure ritraevano una persona defunta e in quel caso
avevano una funzione commemorativa. Accanto a questa tipologia di ritratti si
svilupparono anche i ritratti pubblici che spesso erano destinati a
quell'ambiente sociale specifico di cui faceva parte il soggetto raffigurato:
in questo caso dunque il ritratto, più che somigliare fedelmente alla persona
doveva indicarne l’appartenenza sociale attraverso una serie di attributi ben definiti.
La
Tarda Antichità conobbe una rigogliosa produzione immagini, in particolare di
ritratti che, come si è appena detto, non si basavano più di tanto sulla
rassomiglianza fisica ma insistevano sul rango sociale e sul potere che avevano
caratterizzato il personaggio. Tra le immagini più diffuse vi erano quelle
degli imperatori – rivestite di valore giuridico poiché sostituivano
fisicamente l’imperatore nei tribunali – che erano impresse su diversi tipi
oggetti come monete, scettri e sugli abiti dei consoli. Quindi, nel momento in
cui si andava a raffigurare un personaggio di particolare levatura sociale, più
che sulla rassomiglianza fisica, si conferiva particolare enfasi ai gesti e
agli atteggiamenti in modo che da essi era possibile riconoscere ora un sovrano
ora un dignitario. Sebbene infatti alla fine del IV secolo i ritratti funerari
scomparvero, il loro schema iconografico sopravvisse grazie all’arte cristiana
che se ne servì per raffigurare i suoi santi.
L’arte bizantina inoltre ereditò le tre più
diffuse tipologie della ritrattistica antica e cioè la figura rappresentata in
piedi, la figura a mezzobusto rinchiusa nel clipeo oppure in una cornice di
forma rettangolare .
Per
molti padri della Chiesa delle origini la venerazione delle immagini fu vista
come un pericolo che ostacolava il
fedele nel suo percorso spirituale. Tuttavia nel corso del IV secolo si
diffusero sempre più le immagini volte a celebrare i santi martiri, in grado -
secondo Gregorio di Nissa - di contribuire all'esperienza sensoriale del
fedele: in altre parole quest’ultimo, attraverso le reliquie e l’immagine
sarebbe stato capace di trascendere il mondo terreno e avvertire dunque la
presenza ‘fisica’ del santo.
I
ritratti di personaggi cristiani presentano una connessione più profonda con il
mondo pagano. I primi ritratti di santi, di Cristo o della Vergine erano
venerati in contesti domestici e spesso si trattava di offerte votive per
ringraziare la divinità in seguito ad un evento miracoloso. Tale fenomeno
risale all'Antichità quando nei templi greco-romani si depositavano una serie
di offerte votive volte a celebrare gli eventi più disparati
come una vittoria in guerra o la guarigione dalla malattia.
Di
fondamentale importanza per comprendere l’origine stilistica delle prime icone
bizantine sono anche i ritratti di mummie, diffusi in Egitto a partire dal I
secolo d.C. i cui esemplari più noti sono quelli rinvenuti nel Fayyum . Si
tratta di tavolette in legno su cui si realizzavano dei ritratti dei defunti
con un’incredibile attenzione per i dettagli fisiognomici e che poi si ponevano sulle mummie; la tecnica
di realizzazione a partire dal IV secolo d.C. fu soprattutto l’encausto e lo stile riprendeva quello della pittura
ellenistico-romana. Ciò che sorprende di questi ritratti è l’estrema cura per i
dettagli ma un altro elemento che cattura l’osservatore sono i grandi e
profondi occhi che riflettono un senso di tranquillità e pace interiore.
Più
nel dettaglio, i tratti peculiari dei dipinti del Fayyum si ritrovano nelle
prime icone che infatti presentano un maggiore naturalismo rispetto a quelle
dei secoli successivi, mi riferisco infatti alle più antiche icone ritrovate
nel monastero di Santa Caterina del Sinai che furono realizzate con la tecnica
dell’encausto.
L’isolato
monastero di Santa Caterina del Sinai fu costruito per volere dell’imperatore
Giustiniano (527-565) anche se le fonti antiche divergono sulla funzione di
tale edificio.
Le
icone realizzate prima del 726 d.C. – anno in cui Leone III si pronunciò
pubblicamente contro la venerazione delle
icone – permettono di delineare i
caratteri stilistici ed iconografici della prima arte bizantina ma anche di
comprendere lo sviluppo dell’icona nei secoli successivi.
Si
è pensato che queste icone costituissero dei doni offerti dall’imperatore
Giustiniano per il monastero da lui fondato dove però non avevano una precisa
collocazione ma erano conservate in una sala per poi essere mostrare sul proskynetarion durante alcune
celebrazioni. Le tre icone di cui si parlerà in dettaglio (che sono quella di
Cristo, di San Pietro e della Vergine) data la loro dimensione è probabile che
trovassero posto sui pilastri o sulle colonne della chiesa.
Per quanto riguarda l’icona raffigurante
Cristo, di particolare interesse sono le mani sottili – una benedicente e
l’altra che tiene in mano un Vangelo rilegato ed impreziosito con gemme – rese con poche ed essenziali linee, quasi in
maniera ‘geometrica’. Splendido è il sensuale volto dal luminoso color avorio
dove risaltano dei contorni scuri volti
a sottolineare le ciglia degli occhi e il naso, si osservi anche la tonalità
grigio-olivastra intorno al collo, sotto la bocca e sotto le sopracciglia e il
lieve tono roseo delle labbra e delle palpebre. Il carattere naturalistico è
poi conferito anche dai baffi e dalla barba di cui si percepisce un lieve
movimento e dai capelli raccolti su di un lato. Se da una parte l’artista è
stato abile nel ritrarre la natura umana di Cristo, al contempo è riuscito
anche a restituire quella divina attraverso lo sguardo che colpisce per
solennità e astrazione. La coesistenza di queste due nature ricalca per
Kitzinger il modo che gli Antichi
avevano nel realizzare le sculture delle divinità: in particolare lo studioso fa un confronto molto interessante
tra la suddetta icona e lo Zeus Olimpio di Fidia; secondo Kitzinger infatti
l’arte cristiana a partire dal VII avrebbe conosciuto una ripresa dello stile
ellenistico attraverso il quale gli artisti avrebbero conferito un’umanità
realistica e tangibile anche alle figure divine.
Si
noti inoltre che alle spalle di Cristo s’intravede una nicchia con una porzione
di cielo stellato che conferiscono spazialità alla composizione.
A
differenza delle successive raffigurazioni severe del Cristo Pantocratore, in
questa icona il volto è solenne ma è caratterizzato da una solennità umana e
non distaccata, ed esprime una serenità interiore.
Data
l’alta qualità si crede che l’icona sia stata realizzata a Costantinopoli, tesi
che è rafforzata dal fatto che questa iconografia di Cristo sarà utilizzata
come effige per le monete imperiali a partire dal regno di Giustiniano II .
Per
quanto riguarda la datazione dell’icona Weitzman propone il VI secolo così come
anche Boyd - secondo quest’ultima inoltre l’icona riflette la temperie
classicista del regno di Giustiniano I – ; Kitzinger , invece, sposta la datazione
dell’icona all’VIII secolo, considerandola
coeva all’icona di San Pietro – sempre del Sinai – di cui si parlerà a
breve. Per lo studioso non esistono altri esempi del VII secolo di ritratti così raffinati e
realistici.
Testa di Zeus - 350-340 a.C., Museum of Fine Arts, Boston (Kitzinger la confronta con l'icona di Cristo del Sinai) |
La
Vergine, rappresentata in una posizione ieratica e con sguardo austero, indossa
una tunica viola e un maphorion dello stesso colore, le scarpe invece sono
rosse, colore che indica regalità. Il suo volto è reso con un tono
grigio-olivastro volto a sottolineare la sua divinità e l’astrazione dal mondo
terreno così come anche lo sguardo rivolto a destra. Il Bambino è avvolto da
una tunica e un mantello color ocra. Ai due lati trovano posto le due figure di
santi militari vestiti con abiti sontuosi con decorazioni elaborate e preziose,
raffigurati mentre impugnano entrambi la croce dorata del martirio: quello a
destra – identificato con San Teodoro – ha capelli e barba scuri e un viso
realizzato con una tonalità marrone-rossastra mentre il santo più giovane a
sinistra – identificato con San Giorgio o con San Demetrio – ha capelli chiari e un volto pallido. A
differenza del manto della Madonna, più omogeneo e piatto, gli abiti dei due
santi militari trasmettono l’idea della tridimensionalità grazie alle pieghe e
ai giochi di ombre e luci sulla superficie.
In
secondo piano sono rappresentati due arcangeli con i loro caratteristici
scettri, avvolti da vesti bianche, mentre guardano in alto verso le mano di Dio
da cui parte un raggio di luce che si posa sull’aureola della Vergine. Il
biancore che pervade queste due figure è stato impiegato per evidenziare la
loro natura eterea e celeste, a differenza dei due santi rappresentati come due
uomini reali, quasi come se fossero due dignitari imperiali. Come si è detto
per l’icona di Cristo, anche questa riflette quel particolare stile
sviluppatosi a Costantinopoli caratterizzato dalla compresenza di una
componente ellenistica e di quella astratta. Circa la datazione dell’opera in
questione Kitzinger la colloca nella prima metà del VII secolo mentre Weitzman
al VI secolo, cronologia accettata anche da Falla Castelfranchi che ha magistralmente ricostruito il contesto
storico-culturale dell’icona. L’icona infatti dovrebbe costituire, insieme a
quella del Cristo Pantocratore, un dono che l’imperatore Giustiniano fece in
occasione della celebrazione del monastero da lui stesso commissionato. In
particolare l’icona con la Vergine sembra essere collegata con la ricostruzione
del monastero che fu protetto dalle scorribande barbare grazie ad un presidio
militare: allo stesso modo i due santi militari dell’icona proteggono la
Vergine col Bambino dalle eresie che in quel tempo imperversavano in Egitto .
Interessante
è infine il confronto che è stato proposto tra l’icona della Vergine e
l’iconografia della dea Iside (che aggiunge ulteriori risvolti al rapporto con
il mondo pagano nell’arte cristiana dei
primi secoli), particolarmente venerata durante l’Ellenismo. In Egitto questa
dea era spesso associata al figlio Horus ed era indicata con l’appellativo di
Theotokos, termine con cui si indicherà anche la Madonna. Le rappresentazioni
di questa dea erano molteplici e in particolare quella col figlio Horus ricorda
in maniera sorprendente l’iconografia della Madonna col Bambino. Nell’icona del
Sinai si è visto come la Vergine sia assisa su un trono riccamente decorato: il
trono è anche un attributo della dea Iside, così come anche il simbolo del suo
geroglifico; lo sguardo solenne e rivolto a destra della Madonna ricorda poi
alcuni ritratti di Iside risalenti all’età romana, si tratta dello stesso
sguardo lontano e distaccato che riflette una condizione sovramondana .
Di straordinaria qualità è anche l’icona
raffigurante San Pietro a mezzo busto, all’interno di una splendida nicchia
classicheggiante – su cui si staglia un bellissimo cielo realizzato con diverse
striature di blu sino a divenire bianco nella parte superiore – decorata con un
fregio dorato. L’apostolo presenta i caratteristici capelli e barba bianchi) ed
è vestito alla maniera degli antichi filosofi con una tunica e un mantello
grigio-olivastri con diverse sfumature per creare le pieghe del panneggio. In
una mano regge le chiavi e nell’altra un’asta cruciforme (con riferimento al
suo martirio). Il viso è realizzato con colori caldi che conferiscono alla
figura un aspetto naturalistico sorprendente, si noti poi lo sguardo
meditabondo e al contempo solenne degno dell’apostolo destinato a porre la
prima pietra della Chiesa e a ricoprire il ruolo di primo rappresentante di
Cristo sulla terra. La testa di san Pietro è poi circondata da un grande nimbo
color giallo-ocra con un bordo bianco e blu scuro.
Al
di sopra della nicchia e del santo sono raffigurati tre medaglioni che, come il
nimbo di San Pietro, sono di color giallo-ocra con i due bordi bianco e blu
scuro. Quello al centro, leggermente più grande, ospita Cristo con i
caratteristici tunica e mantello viola, il suo viso è pallido e contrasta in
maniera evidente con il viso fortemente realistico di San Pietro. Il medaglione
a destra ospita la Vergine che indossa un maphorion
marrone mentre i suoi capelli sono raccolti in una sciarpa blu impreziosita
con perle. Il medaglione a sinistra ospita invece il ritratto di un giovinetto
imberbe dai grandi occhi e dai folti capelli scuri su cui si è a lungo
dibattuto circa la sua identificazione: è probabile che si tratti di san
Giovanni Evangelista che appare nelle raffigurazioni della Crocifissione a cui
rimandano proprio i tre medaglioni.
Per
quanto riguarda la datazione e il luogo di produzione Weitzman colloca l’icona
tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo e afferma che essa fu realizzata a
Costantinopoli dove, più che nelle altre città, era ancora presente la
tradizione classica. Per lo studioso infatti l’icona di San Pietro riprende lo
stile dei ritratti realizzati nella Tarda Antichità (per Weitzman la
derivazione dell’icona esclusivamente dai ritratti del Fayyum è impensabile) ma riprende
anche alcuni elementi dell’iconografia imperiale come aveva già intuito André
Grabar quando studiò l’icona allora scoperta da poco. Ad avvalorare questa tesi
si prenda infatti in considerazione il dittico eburneo raffigurante il console
Anastasio (VI secolo): la composizione, sebbene si tratti di un soggetto laico,
ricorda quella dell’icona per via della figura centrale di Anastasio e dei tre
tondi in alto che ospitano le teste dell’imperatore, dell’imperatrice e di un
uomo che probabilmente è il co-console . Lo schema del dittico eburneo è
strutturato in maniera che se ne percepisca il forte simbolismo: il console,
raffigurato seduto sotto un baldacchino, riceve il potere direttamente dai
sovrani – l’imperatore e l’imperatrice ritratti in alto – e lo condivide con il
secondo console. Si noti dunque come tale schema sia ripreso in maniera
sorprendente nell’icona dove il significato, seppur passi da quello imperiale a
quello cristiano, non cambia: allo stesso modo San Pietro è apostolo e santo
per volontà di Cristo e della Madonna e inoltre egli condivide il suo essere
discepolo di Cristo con il giovane santo ritratto in alto a sinistra .
Una
proposta interessante proviene da Kitzinger che data l’icona al 700 (quando
cioè per lo studioso giunge all’apice uno stile monumentale e naturalistico
d’impronta ellenistica) ed effettua inoltre un confronto stilistico con gli affreschi
romani di Santa Maria Antiqua dove si notano le stesse
lumeggiature e lo stesso modo di rappresentare i panneggi .
Pietro Perrino
Citazioni bibliografiche:
Per la ritrattistica:
A. Grabar
– M. Della Valle (a cura di), Le vie dell’iconografia cristiana. Antichità
e Medioevo, Milano 2011, pp. 65-91.
K. Marsengill, «Portraits and icons
in Late Antiquity», in Transition to
Christianity. Art of Late
Antiquity, 3rd-7th Century AD, edited by Anastasia Lazaridou, New York 2011, pp. 61-66.
S. Donadoni, E. Coche de
la Ferté. Ad vocem «fayyum» in Enciclopedia
dell’Arte Antica Treccani, 1960, consultata all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/fayyum_%28Enciclopedia_dell%27_Arte_Antica%29/
Per le icone del Sinai:
F. Mathews, «Early Icons of the
Holy Monastery of Saint Catherine at Sinai» in Holy Image-Hallowed Ground. Icons from Sinai, catalogo della mostra tenuta al Getty Museum ,
Los Angeles 2006-2007, pp. 39-45.
K. Weitzman, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai, The Icons. Volume one: from the Sixth to the Tenth Century, Princeton
University Press, Priceton 1976, pp.
3-10.
S.A. Boyd,
«Icon of Christ Pantocrator», in Age of
Spirituality. Late Antique and Early Christian Art, Third to Seventh Century,
edited by Kurt Weitzman, The Metropolitan Museum of Art , New York, 1979, pp. 527-258.
M. Falla Castelfranchi, « Non solo ˃ellenismo
perenne˂ nella pittura bizantina delle
origini», in M. De Giorgi, A. Hoffmann
und N. Suthor, Synergies in Visual Culture – Bildkulturen im Dialog,
Festschrift für Gerhard Wolf, München 2013, pp. 387-394.
T.F. Mathews, «Early Icons
of the Holy Monastery of Saint Catherine at Sinai», pp. 47-48.
E. Kitzinger, Alle
origini dell’arte bizantina. Correnti stilistiche nel mondo mediterraneo dal iii al vii
secolo, Milano 2004